Amore e morte, dualismo che non ha certo atteso il cinema per essere sviluppato, organizza l'universo - in passato spesso compiaciuto fino alla noia - dell'ex enfant prodige dell'underground americano, nonchè socio in creazione del mitico Andy Warhol. Come sempre, Morrissey inizia dai marciapiedi del sottoproletariato nuovaiorchese, blusotti di cuoio e stivaletti col tacco, sesso droga e perdigiorno, come si diceva una volta. Poi, appena ti sembra di aver capito tutto, ecco che il film t'inchioda alla poltrona. Sarà perché il regista riesce a fare ciò che raramente gli è riuscito: costruire una storia, o piuttosto una sceneggiatura, impeccabile. E ancora: filmare con un rigore, una rabbia d'esistere, ed al tempo stesso quel distacco ironico che lo distingue: e che finisce per conferire alle immagini un carattere di documento e di esempio al tempo stesso.
MIXED BLOOD, con l'essenzialità dei migliori thriller americani, racconta dei regolamenti di conti fra le bande di delinquenti in erba che popolano la downtown più tragica di NY. Morrissey riesce a farci seguire la meccanica di uno schema che conosciamo a memoria. Poi, poco a poco, introduce dei personaggi (come quella Rita la Punta venuta dal Brasile a far da madre ai mezzosangue), o delle situazioni (la bancarella davanti all'entrata del covo, con la fila che si squaglia solo nel bel mezzo della sparatoria, ed il venditore che continua: "coke or heroine?") più che assurde, iperrealiste.
Il risultato è una delle sue opere più convincenti, un balletto mozzafiato del quale non si sa se ridere o tremare, uno sguardo tragicomico su una violenza pittoresca ed assurda, una condizione sconfinata che, proprio per i suoi eccessi, riesce ad assumere aspetti anticipatori di una constatazione glaciale ed accorata.